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Corpo sottile

Arseny Zhilyaev26/12/25 19:0118
Alessandro Quinzii Borgomainerio: "Corpo sottile"
Alessandro Quinzii Borgomainerio: "Corpo sottile"

Arsen Zhilyaev: Parlaci del titolo della mostra "Corpo sottile". Cosa significa?


Alessandro Quinzii Borgomainerio: "Corpo sottile" è un termine tratto dalle dottrine esoteriche per indicare le energie che strutturano la nostra vita insieme al corpo fisico. Sono teorie molto interessanti ma non ho scelto il titolo per questo. Mi piace come suona e il significato letterale. È un titolo dialettico che rende etereo il corpo e dà materia al sottile, all’evanescente, che istintivamente associo al respiro.

Il corpo è centrale nel mio lavoro, ma deve essere considerato un corpo dialettico, materiale e etereo, in perenne tensione. Per questo sarebbe più corretto parlare di gesto. Nel gesto è implicita un’interrelazione, una correlazione di più cose. Il corpo di cui tratto non è un corpo confinato che sottintende un soggetto, ma è un corpo la cui vita si basa sulla relazione e sulla trasformazione


AZ: La mostra è divisa in due sezioni. La prima raccoglie principalmente opere bidimensionali basate sulla muffa, un tema ormai sempre più presente in contesti legati all’arte. Non si tratta però del muco, un’altra sostanza che si è notata spesso nelle esposizioni degli ultimi dieci anni e che gli esseri umani percepiscono come qualcosa di intermedio tra la vita e la morte, pur rimanendo comunque incompatibile con la vita umana. D’altra parte, per un abitante di Venezia, la muffa è una presenza piuttosto familiare. Credo che si possano persino ricevere rimproveri del tipo: "anche mio figlio sa disegnare un quadrato nero". Dopotutto, quasi ogni veneziano ha incontrato la muffa in casa, quindi perché coltivarla per una mostra?


AQB: La mia pratica si basa sulla ricerca di una meccanica figurativa, non di una stilistica formale. Io cerco di non vedere cose ma relazioni. Una meccanica figurativa indica il processo che tende a condensare un’immagine, e l’immagine ha il valore di un resto di questo movimento continuo a cui io partecipo. Io non sono un autore ma un ingrediente. Certo io sono consapevole, ma quando lavoro non c’è spazio per la consapevolezza, devo piuttosto dimenticarmi di me e far vuoto.

Il processo prevede naturalmente la sperimentazione. Io lavoro soprattutto con la carta e l’acqua e negli anni ho introdotto ingredienti come il caffè, il sale, gli elementi vegetali. In questi esperimenti sono arrivato in modo naturale alla muffa, visto che, come hai sottolineato, abito e lavoro a Venezia. Alla fine è una questione di dosaggio: a volte gli ingredienti vengono mescolati e la muffa coabita con gli inchiostri o i colori terra; altre volte predomina. In entrambi i casi io sono un ingrediente come gli altri che si dosa di caso in caso, rimanendo a volte solo come una figura che innesca un processo autonomo efficace e necessario. Se poi devo trovare un senso a posteriori direi che la muffa è emblematica rispetto all’idea centrale del meccanismo figurativo, della metamorfosi continua: la muffa è viva dove per noi c’è la morte e poi di nuovo muore interagendo con la carta per trasformarsi in una nuova forma, viva in quella specie di relazione che instaura con noi osservatori. Nella prospettiva antropocentrica è il ciclo della vita che si ripete all’infinito, ma in realtà è semplicemente metamorfosi e i concetti di vita e morte non hanno senso.

Alessandro Quinzii Borgomainerio: "Corpo sottile"
Alessandro Quinzii Borgomainerio: "Corpo sottile"

Ultima questione che hai posto: se qualcuno critica il quadrato nero di Malevic o i tagli di Fontana dicendo che lo saprebbe fare anche un bambino significa che vede solo un’immagine morta senza capire né che fa parte di un processo necessario né che potrebbe, come osservatore, creare con essa una nuova relazione. La questione è la necessità, una questione di vita o di morte. Siamo sommersi dal superfluo e irrigiditi dalle sovrastrutture e di questo si nutre il nostro ego, per fare disastri. La muffa non alimenta il mio ego, almeno fino a quando non mi accontenterò della sua sola capitalizzazione, e spero di essere lucido a sufficienza per non farlo mai.


AZ: Nella seconda sala si trova invece uno studio — o forse sarebbe più corretto dire studiolo — l’ufficio di un ricercatore, di uno scienziato, che assembla la propria wunderkammer con oggetti in trasformazione, insieme a piccole opere grafiche realizzate negli ultimi anni. Anche qui abbiamo a che fare con un processo, ma non interrotto: anzi, apparentemente in grado di continuare all’infinito. Mi sembra che questa impostazione metodologica sia molto importante per te. Raccontacela e parlaci, in generale, dei principi del tuo lavoro.

Alessandro Quinzii Borgomainerio: "Corpo sottile"
Alessandro Quinzii Borgomainerio: "Corpo sottile"

AQB: Nello studio dove lavoro all’opera trova spazio anche una roccolta che richiama alle wunderkammer seicentesche dove venivano esposti oggetti straordinari, naturali e artificiali. Qui nella galleria abbiamo portato una parte di questa raccolta, anche se ho avuto seri dubbi sull’opportunità di portare qualcosa che non è nato per essere esposto. Comunque alla fine mi sono reso conto che era importante dedicargli uno spazio perché la raccolta è parte indissolubile della mia pratica artistica. Rispetta i principi del suo metodo ed è anche, in qualche modo, motore del mio lavoro: mi concede di divagare, riprendere respiro, o giocare combinando senza pretese i suoi oggetti.

La collezione prende però distanza dalle camere delle meraviglie originali. Per prima cosa non tratto oggetti eccezionali ma per lo più oggetti banali, essenzialmente scarti, frammenti o elementi vegetali abbastanza comuni. Inoltre, né nel raccogliere questi elementi né nella loro disposizione, vi è l’intenzione di esibire e condividere la meraviglia con i propri pari, e in conclusione di farsi vanto e accrescere la considerazione di sé (le wunderkammer erano costituite da oggetti eccezionali e molto costosi).

Per me si tratta piuttosto di costruire uno spazio intimo, se vogliamo privato. Uno spazio che è sostanzialmente costituito di incontri, di piccole esperienze avute lungo il cammino. Infatti gli oggetti sono cose quasi mai comprate (ad eccezione di quanto ho trovato tra le cianfrusaglie dei mercatini). E il trovare questi oggetti non è frutto di una ricerca ma di un evento, di un caso fortuito. È un incontro generato da una distrazione — un po’ come quando dipingi veramente, senza pensiero o intenzione. Forse sono gli oggetti che mi hanno trovato.

Resta che le cose che stanno sui tavoli del mio studio dovrebbero essere considerate tracce. Forse sono tracce dei momenti in cui ho sentito una comunanza. Non sono esperienze che costruiscono un destino, ma esperienza banali — come trovare una noce consumata dal tempo, una concrezione marina o una foglia secca segnata dai parassiti — che vorrei considerare come parti integranti della mia vita.

Anche nel combinarli o farli stare in piedi non cerco l’idea interessante, o accattivante; diciamo che semplicemente metto in ordine. Che forse è la cosa che faccio anche quando dipingo.

Alessandro Quinzii Borgomainerio: "Corpo sottile"
Alessandro Quinzii Borgomainerio: "Corpo sottile"

AZ: Un mio amico, un curatore polacco, parlando della sua identità ha affermato di sentirsi, prima di tutto, un indigeno dell’Europa orientale. Mi sembra che, in un certo senso, rivolgersi alla metodologia delle wunderkammer per un italiano significhi anche andare alla ricerca di una fonte nuova-antica. Sei d’accordo con questo, oppure la tua metodologia ha per te un significato più universale?


AQB: Credo che sia più universale. La mia cultura è europea, certo, ma la ricerca di costruire una comunanza con le cose infime e senza importanza, con gli errori, con gli scarti e anche con il diverso rivendica un origine comune e un ordine "debole", fragile, costruito sull’interrelazione di tutte le cose e sulla trasformazione continua. E quando parlo di debolezza e di fragilità non è sottostima ma è un’alternativa reale all’ordine che si crea con la forza.


AZ: Mi interessa conoscere il tuo atteggiamento nei confronti della modernità. Parliamo di arte contemporanea, ma è davvero contemporanea? Si tratta ancora di arte o di altre pratiche? Sembra che la modernità che il filosofo Peter Osborne faceva partire dal 1989, con la caduta del Muro di Berlino, sia ormai finita, così come l’arte post-concettuale che la esprimeva. Forse non possiamo semplicemente accantonarla: rimarrà con noi come una reliquia della radiazione di fondo. Eppure, allo stesso tempo, qualcos’altro si configura. Questo processo mi ricorda la situazione del passaggio dell’underground sovietico degli anni Settanta: dal modernismo a qualcosa di simile al realismo magico (la "nuova semplicità") in musica e al concettualismo romantico in arte. Permettimi di raccontare un episodio caratteristico legato al compositore Vladimir Martynov (che, in Italia, potrebbe essere conosciuto per il suo brano Le Beatitudini, utilizzato nella colonna sonora de La Grande Bellezza di Sorrentino). Nel 1973, all’apice dei suoi successi d’avanguardia, scrisse il brano Guardiano della cometa Kohoutek per quattro pianisti, ispirato dalle notizie di una minaccia associata al passaggio della cometa vicino alla Terra.

L’idea era di riunire altri artisti d’avanguardia e presentare loro non un esperimento raffinato, ma un vero e proprio rituale concepito per salvare l’umanità da un’apocalisse cosmica. Martynov dichiarò pubblicamente di sperare di cambiare l’orbita del corpo celeste eseguendo il suo brano e, dopo il rito, di distruggerne gli spartiti. Il concerto provocò totale sconcerto tra i suoi colleghi, tra cui Schnittke e Denisov, ma la cometa passò vicino alla Terra. Anche Corpo sottile sembra essere, in un certo senso, un rituale. E se così fosse, da cosa dovrebbe salvarci?

Alessandro Quinzii Borgomainerio: "Corpo sottile"
Alessandro Quinzii Borgomainerio: "Corpo sottile"

AQB: Non credo che possa definirsi un rituale, perché non ho la pretesa di avere una formula che valga questo potere. È piuttosto un gesto, un gesto che costruisce la mia vita. Ma quello che posso dire è che è un gesto senza senso. Mi viene in mente l’inizio del film "Il sacrificio" di Andrei Tarkovsky dove viene innaffiato un albero secco, come gesto da compiere abitualmente giorno dopo giorno.


AZ: Una domanda che oggi non si può eludere: se la tua mostra è uno spazio da wunderkammer, e questo è una sorta di mondo in miniatura, come reagisce alle catastrofi che il mondo esterno sta attualmente vivendo?


AQB: Confini, aggressioni, genocidi, un diritto internazionale che non esiste più (o forse non è mai esistito se non nelle parole) e un linguaggio della violenza e della mistificazione. E poi il digitale che viene a sublimare gli orrori reali in un mondo astratto che dovrebbe salvarci, o meglio salvare i pochi che lo controllano. Come persona, e come genitore, ho paura.

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